Alla morte di Silvio Spaventa il Comune di Bomba aderì al Comitato promotore costituitosi a Roma per la realizzazione del monumento a Silvio Spaventa a Roma, ma poi si ritirò e, nonostante le sollecitazioni a restare, ripetutamente ricevute, non volle recedere dalla decisione presa. Le ragioni erano numerose: il Consiglio comunale aveva deciso da subito, il 22 giugno, di fare qualcosa per lasciare un segno permanente per ricordare “fino alla più lontana posterità” l’illustre uomo; la stessa Amministrazione aveva già stanziato la somma di lire mille e lanciato una sottoscrizione che dopo quattro giorni aveva raggiunto la somma di altre mille lire. I bombesi continuavano la raccolta pubblica di fondi, estesa anche ad altri comuni, come si può vedere dagli elenchi pubblicati periodicamente sul giornale “I tre Abruzzi”. Il Comune aveva anche già stanziato pure la somma di altre lire cento per bandire un concorso tra gli scultori per realizzare una statua del personaggio.

Il concorso fu poi vinto dallo scultore Adolfo Laurenti di Monte Porzio Catone, uno degli artisti più prestigiosi del tempo.

La statua di Silvio Spaventa venne consegnata al Comune di Bomba nel 1896 e piacque così tanto ai cittadini e agli amministratori che si riunirono in seduta comune per approvare il seguente pubblico encomio:

Bomba, il giorno ventisette settembre 1896

Il Consiglio comunale si è riunito in seduta straordinaria presieduto dal Sindaco Aurelio dott. Cipriani con l’intervento dei Consiglieri Signori Gabriele Impicciatore, Mario Avv. Sigismondi, Domenicantonio Sacchetta, Tommaso Di Pasqua, Giuseppe Sacchetta, Donato notar Sacchetta, Francesco Di Cola, Sebastiano Sacchetta, Florindo Vitullo, Leonardo Ciancaglini, Donato Martorella, coll’assistenza del Segretario C. Sacchetta.

Visto l’Ordine del Giorno.

Il Sindaco Presidente ricorda al Consiglio, che da parecchi giorni è giunta da Roma la statua in bronzo di Silvio Spaventa, opera del Sig. Laurenti, che alla sua perfezione ha dedicato tutto se stesso. L’opera, a giudizio di tutti, concittadini e forestieri, è superiore ad ogni elogio, quindi propone che all’eccellente artista gli si tributino i dovuti ringraziamenti.Il Consiglio,

considerando che la statua di Silvio Spaventa, attesa con ansia vivissima dall’intera cittadinanza, ha superato ogni aspettativa, riuscendo di sommo gradimento d’ogni classe della popolazione, la quale unanime ha riscontrato in essa perfettissime le care sembianze del suo illustre concittadino;

Che essa per la perfezione con cui è stata condotta sarebbe degna di ornare qualunque città, ove potess’essere  più facilmente esposta all’ammirazione di quanti amano e conoscono il bello;

che il natìo paesello dev’essere orgoglioso di possedere un’opera d’arte di tanto pregio a cui il Laurenti ha  lavorato con vero intelletto di artista e cuore di patriota; assinché non vi sia tema di errare  che egli ha legato il suo nome alla posterità in modo degno del Grande, di cui ritrasse le forme,

All’unanimità, ringrazia sentitamente e generosamente il sullodato artista Signor Laurenti.

Previa lettura si è approvato

Il Consigliere anziano:  Gabriele Impicciatore

Il Sindaco Presidente:   A. Cipriani

Il Segretario: C. Sacchetti

Contemporaneamente a Roma lo scultore Giulio Tadolini veniva incaricato di realizzare la statua che sarebbe stata consegnata e sistemata solo nel 1898.

Bomba (CH)

Roma

Le statue di Silvio Spaventa, come abbiamo visto, furono fatte in tempi diversi e da scultori diversi. La prima statua ad essere realizzata fu quella del monumento che si trova a Bomba, consegnata al Comune nel mese di settembre 1896 dallo scultore Alfonso Laurenti. Essa poi, per diverse vicende, fu sistemata solo nel 1915, a ben diciannove anni dalla consegna.

E’ evidente che essendo la statua di Bomba realizzata prima di quella di Roma, non può trattarsi di una copia di quella: credenza accreditata un po’ ovunque e che ha tratto in inganno molte persone autorevoli tra cui anche Elena Croce, come si rileva a pag. 7 del suo libro dedicato a Silvio Spaventa, ricco di notizie interessantissime sul grande personaggio di cui stiamo parlando. Resta diffusa la credenza della terza statua che si troverebbe a Bergamo, ma non ci risulta che sia una notizia verosimile avendo fatto dei sopralluoghi rimasti infruttuosi.

Ma ora “torniamo a Bomba” [1] e al suo monumento.

Arrivata a Bomba, la statua fu scaricata e sistemata nell’androne del nuovissimo palazzo municipale, inaugurato poco più di dieci anni prima. Bisognava trovare ora un posto per sistemare degnamente ed adeguatamente l’effige di tanto personaggio. Bisognava collocarla al centro della piazza del paese che era stata da poco denominata Piazza Municipio; ma c’erano dei problemi. Purtroppo il centro della piazza era attraversato da due fossi: l’uno proveniente dalla sorgente Cannella, che scorreva (e scorre ancora) alla sinistra del palazzo guardando la facciata, il cui alveo era stato consolidato e coperto da robuste arcate di pietra pochi anni prima; l’altro fosso, proveniente dalle sorgenti di S. Mauro Vecchio, si ricongiungeva (e si ricongiunge) al precedente, prendendo il nome di Torrente Valloncello, poco prima della cascata che si formava subito dopo, andando ad alimentare il primo mulino comunale che era stato realizzato a circa metà cascata. Lo spazio dunque non era sufficiente per innalzarvi il monumento, anche perché si sarebbe ristretta ancora di più la strada, a meno che non si volesse restringere la base del monumento a pochi metri quadrati. Dall’altra parte, verso Est, era stato da poco ampliata la fontana, la monumentale Fontana Grande (affiancata dalla Fontana Piccola) con i suoi bei volti raffiguranti le quattro stagioni, dalle cui bocche uscivano quattro cannelle bronzee d’acqua che veniva attinta dalla maggior parte delle donne del paese[2]. L’acqua sgorgante scendeva poi ai lati della facciata, dove erano costruiti i due abbeveratoi; quindi defluiva attraverso opportune canalizzazioni collegate al lavatoio costruito nella parte posteriore del complesso. Sul lato sinistro era stata lasciata la Fontana Piccola con lo stesso impianto. Sempre a sinistra, come si può vedere da una carta topografica del 1879, sorgevano tre edifici:[3] la chiesa di S. Rocco, il carcere e il municipio assolutamente asimmetrici tra loro e con il resto della “piazza”.

Insomma, non si trovava lo spazio adeguato per la sistemazione della statua di “Dun Zilvie”. Questa è la ragione per cui rimase nell’androne del palazzo municipale, dove era stata depositata, dal 1896 fino al 1915 quando, finalmente, venne collocata dove si trova adesso. Come mai impiegarono quasi vent’anni per arrivare ad una adeguata soluzione? Sicuramente perché le proposte che venivano fatte andavano a cozzare contro gli interessi pubblici e privati. C’era l’interesse privato di Francesco Mastrangelo, che era proprietario del terreno nel quale si univano i due fossi e che, avendo presentato una domanda per la costruzione di una abitazione proprio sopra la loro confluenza, non voleva rinunciare al suo progetto. C’era l’opposizione dei proprietari degli orti a monte della fontana, che non volevano essere espropriati nel caso il Comune avesse deciso un ulteriore allargamento dello spazio in direzione dei loro terreni. C’era la protesta delle donne e, soprattutto, delle lavandaie (appoggiate dalle famiglie che facevano fare loro quel lavoro), che si chiedevano dove sarebbero dovute andare a sciacquare i panni qualora la fontana fosse stata demolita o ridotta. E le proteste dovettero essere vivaci se, nel 1911, durante una manifestazione contro l’abbattimento della fontana, alcune di esse vennero arrestate.

Altri ostacoli erano legati a motivi di bilancio, poiché il Comune si era indebitato negli anni precedenti per i lavori di costruzione del Municipio e del Carcere mandamentale e per coprire quelle spese era stato deciso il taglio di una parte del bosco Nicona situato tra Vallecupa e Isca d’Archi. Ma i fondi erano stati già esauriti e si dovette procedere al taglio di un altro lotto.

Nel frattempo Dun Zilvie, come i bombesi chiamano il loro illustre compatriota, stava sempre nell’atrio del Comune esposto alla neve e alla pioggia che venivano dall’alto e, dal basso, “alle lordure dei monelli” che giocavano in piazza e quando dovevano urinare andavano a farlo proprio lì[4]

Un po’ alla volta però gli amministratori riuscirono a trovare le soluzioni opportune e a rimuovere gli ostacoli che impedivano di trovare una degna sistemazione per la statua.

Venne concessa l’autorizzazione a Francesco Mastrangelo a costruire l’edificio arretrando il più possibile verso la cascata previa sistemazione dell’alveo dei due fossi e quindi, sopra una grande e solida arcata venne costruita la casa Mastrangelo come la vediamo ora a Sud-ovest di Piazza Matteotti.  Ai tre lati del cornicione il Mastrangelo fece apporre tre facce di terracotta dalla bocca spalancata ad indicare la vittoria della battaglia a lungo sostenuta. Negli ultimi anni, attraverso un restauro conservativo, il colore delle facce è stato modificato e si è cancellata quella parte dell’edificio che riassumeva la lunga storia di quella contestata costruzione.

Sulla sinistra, di fianco alla scalinata dell’edificio di Mastrangelo, c’era un giardino di proprietà di Domenico De Laurentiis. L’attuale costruzione del negozio di Vitullo Nicola non c’era. L’amministrazione espropriò metà del terreno di De Laurentiis e lasciò l’altra metà al proprietario. Successivamente fu autorizzata la costruzione di un piano di fabbricato.

1914 – Posa del monumento

1879 – Mappa della piazza di Bomba

Un altro passo avanti fu fatto nel 1913 con la costruzione di un grande lavatoio a dodici vasche indipendenti sul lato sinistro del palazzo municipale guardando la facciata, proprio sopra il fosso le cui acque alimentavano i lavatoi. L’acqua sgorgava abbondantemente e consentiva alle lavandaie di lavorare autonomamente senza doversi mettere d’accordo su chi doveva stare vicino all’acqua pulita e quindi senza litigare[5] e c’era anche un custode che aveva l’incarico di aprire e chiudere l’ingresso e di controllare che si tenesse in ordine. Naturalmente fu sistemata anche una fontana provvisoria che, come tutte le cose provvisorie, è rimasta sempre al suo posto fino agli anni ’80 del 1900, quando fu spostata dove si trova adesso dietro il monumento. E per porre fine alle critiche di quelli che si rammaricavano per la scomparsa della bella Fontana Grande, fu progettata e realizzata un’altra fontana a zampillo con base circolare che venne eretta quasi al centro dell’odierna piazza. [6]

Bomba 1915 – Foto della piazza con la fontana nuova e il monumento a S. Spaventa pronto per l’inaugurazione

Ultimo passo per l’allargamento dell’area del monumento fu l’esproprio, verso Est, di alcuni terreni adibiti a orti. Si ottenne così lo spazio necessario a creare un’aiuola in mezzo alla quale poté essere, finalmente, eretta la statua come la vediamo ancora oggi[7].

Bomba, 18 agosto 2022

Giuseppe Caniglia

 

[1] Torniamo a Bomba è un modo di dire molto conosciuto e usato quasi ovunque in Italia quando si vuole riportare il discorso al tema iniziale dopo le divagazioni. Il detto, attribuito a Silvio Spaventa, non si trova negli atti parlamentari, ma non è affatto da escludere che Spaventa l’abbia pronunciato in uno dei suoi numerosi interventi in Parlamento e in altre sedi istituzionali durante i quali, spesso, erano frequenti le interruzioni ai suoi discorsi. Poiché per carattere non si lasciava sopraffare e non perdeva mai il filo del discorso, quando le divagazioni erano state esaurite, riprendeva il suo dire cominciando con le parole “torniamo a Bomba”, torniamo cioè a ciò che stavamo dicendo. Affermazione che colpiva sempre gli ascoltatori sapendo che egli proveniva da un paese che si chiamava appunto “Bomba” che faceva coppia con l’altra parola che indicava il suo cognome “Spaventa”: insomma Spaventa di Bomba, che, raccontano le cronache, era il suo modo di rispondere alle guardie che gli chiedevano le generalità: “Mi chiamo Spaventa e sono di Bomba”.  Gli etnografi fanno derivare il significato da un gioco che abbiamo fatto anche noi nella nostra infanzia: il gioco del “nascondino” dove i ragazzi per rendersi liberi e, all’occorrenza, per liberare gli altri, dovevano toccare il punto prestabilito di partenza che da noi veniva indicata come la “tana”. “Tana per me, tana per tutti”, che i bambini romani invece indicavano con la parola BUM o BOM, che attraverso le innumerevoli varianti l’abbiamo oggi sotto la parola “bomba”. Ecco quindi “torniamo a bomba, torniamo all’origine!

[2] Di fontane non ce n’erano molte e l’acqua bisognava andarla a prenderla alle poche che ci stavano. Al trasporto dell’acqua c’erano delle donne che facevano questo lavoro e che venivano chiamate dalle famiglie abbienti e dagli uffici pubblici (caserma, pretura, ecc.) prima che, piano piano se ne costruissero un po’ dappertutto. In via Sant’Anna, dove ora c’è l’edicola di Sant’Anna, la fontana venne costruita nel 1914. Ad una sorgente, all’uscita del paese verso Colledimezzo, era stata messa una piccola cannella da cui l’acqua confluiva dentro un grosso trogolo di pietra che fungeva da abbeveratoio e che dava il nome alla fontana stessa (che in dialetto veniva chiamata (e lo è ancora) “Lu trocchə”. La fontana in via Roma, costruita anch’essa intorno al 1915 quasi di fronte a quella che si vede ora con i due abbeveratoi laterali e il lavatoio nella parte posteriore, venne demolita nel 1952 per eliminare una curva molto stretta della strada che impediva il passaggio di autocarri sempre più grandi.

[3] Il Comune e le carceri che fungevano anche da deposito di derrate o di beni materiali provenienti dalle tasse.

[4] Così nella relazione del 5 marzo 1905 del Commissario prefettizio Paolo Barbaroux venuto per preparare le elezioni per una nuova amministrazione comunale essendo il precedente sindaco decaduto per condanna in seguito ad “abuso di fiducia”. Copia della Relazione in archivio del sottoscritto.

[5] Vennero costruiti vicino al lavatoio anche i gabinetti pubblici all’avanguardia per gli scarichi automatici e la ricchezza delle ceramiche. Il lavatoio venne eliminato intorno al 1960 perché non veniva più utilizzato in quanto tutti ormai avevano l’acqua in casa. Il locale venne trasformato in palestra a uso dell’istituenda scuola media obbligatoria. Ora è sede della biblioteca comunale.

[6] La fontana venne rimossa a causa della morte di Clotilde Martorella. La bambina morì a seguito di una caduta mentre giocava con altri compagni intorno alla fontana.

[7] Il pronipote Rosario Spaventa diceva che l’epigrafe sul piedistallo fu dettata da Benedetto Croce.