La Storia – Bertrando Spaventa
Beltrando all´anagrafe, ma per tutti Bertrando, nacque a Bomba il 26 giugno 1817 e morì a Napoli nel 1883.
Studiò al Seminario Diocesano di Chieti dove lo raggiunse il fratello Silvio nel 1836.
Gli Spaventa si trasferirono a Montecassino nel 1838 dove Bertrando aveva avuto, in quel collegio, un incarico per l´insegnamento della matematica e della retorica.
Nel 1845 si trasferì a Napoli dove aprì una scuola di filosofia molto frequentata da giovani intellettuali per le idee hegeliane che l´animavano, ma anche molto avversata dai Borboni che consideravano liberali e quindi rivoluzionari e sovversivi coloro che professavano l´hegelismo.
Sacerdote, partecipò attivamente alla vita politica prima napoletana e poi italiana accanto al fratello Silvio.
Dopo la repressione del 1848 da parte dei Borboni a Napoli, Bertrando fu costretto a rifugiarsi a Torino dove svestì l´abito talare e, per vivere, scriveva su giornali e impartiva lezioni private per non scendere a compromessi con la piccola borghesia intellettuale piemontese incapace di uscire dai ristretti limiti di una indagine speculativa provinciale. In Piemonte, dove affluisce la gran parte degli intellettuali da ogni parte d´Italia, si ricostituiscono gruppi di studiosi che nelle loro terre d´origine avevano dato notevole influsso alla formazione di una coscienza nazionale.
Cosicché il movimento filosofico italiano, impedito in Napoli, dove ebbe principio – proclama Spaventa – “debbe come movimento politico ricominciare in Piemonte”.
Se a Napoli la rivoluzione è soffocata dalla violenza borbonica prima ancora della piena maturazione delle sue forze, e con la censura della stampa le viene tolto ogni serio mezzo di riaggancio alle correnti progressive del pensiero europeo, la lotta continua invece aspra e ininterrotta oltre i confini del regno di Ferdinando, dove anzi il fenomeno del fuoriuscitismo acquista in breve una rilevanza di primo piano nella guida ideologica del movimento nazionale: “Napoli per ingegno e per animo, è il fiore dell´emigrazione italiana” dirà Gioberti.
Questo giudizio vale anche e, forse più, per il vasto influsso esercitato sul provincialismo del Piemonte da quell´illustre gruppo di esuli comprendente uomini come De Sanctis, De Mais, Tomasi, Mancini, Pisanelli, Scialoja e lo stesso Bertrando Spaventa.
Così, sgombrato il campo dalla falsa alternativa dell´eclettismo, ormai in fase di regresso, dalle incrostazioni equivoche, dalle mescolanze ancora sussistenti a Napoli, l´idealismo italiano cresce tanto in saldezza dottrinaria quanto in ampiezza di rapporti e contatti col mondo esterno.
Nel giro di pochi anni, tra il 1851 e il 1856, Spaventa allarga notevolmente la sfera delle proprie conoscenze in fatto di filosofia classica tedesca, legge e rilegge le grandi opere della maturità di Hegel, s´incontra con testi hegeliani di altri tedeschi tra cui specialmente Fischer, e porta a compimento, insieme ad una svariata produzione giornalistica, l´importantissimo lavoro di penetrazione critica esplicativa della Fenomenologia, sul quale riferisce in una nutrita serie di corrispondenza con il fratello Silvio, allora in carcere a Santo Stefano.
Bertrando Spaventa fu il rappresentante principale dell´hegelismo italiano che egli rielaborò in una forma personale, interpretandola come una filosofia atta a liberare la cultura italiana da tutte le vecchie correnti.
Tentò di ritrovare una linea di sviluppo della filosofia italiana nei suoi rapporti con la filosofia europea. Tale rapporto, dice Bertrando, è circolare: la filosofia moderna sorge in Italia con il Rinascimento (Bruno, Campanella), continua fuori d´Italia con Cartesio, Spinoza, Kant, Hegel, per ritornare in Italia con Vico e principalmente con Rosmini e Gioberti, i quali fanno rivivere il nucleo più essenziale del pensiero kantiano e idealista.
Dopo l´unificazione fu professore di filosofia presso le università di Torino, Bologna, Modena e quindi di Napoli dove insegnò fino alla morte avvenuta nel 1883.
Bibliografia
- L’Italianità, in“Il Nazionale”, 18 aprile 1848, in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861. Lettere, scritti, documenti, pubblicati da B. Croce, Bari 1923.
- Pensieri sull’insegnamento della filosofia e lettere inedite (1850), in B. Spaventa, Opere, a cura di G. Gentile, riviste da I. Cubeddu e S. Giannantoni, 3 voll., Firenze 1972, vol. III.
- Studii sopra la filosofia di Hegel (1850), in B. Spaventa, Unificazione nazionale ed egemonia culturale, a cura di G. Vacca, Bari 1969.
- Diritto della rivoluzione, in“Il Progresso”, 3 giugno 1851, in I. Cubeddu, Bertrando Spaventa pubblicista, in “Giornale critico della filosofia italiana”, 1963, I, pp. 46-93.
- False accuse contro l’hegelismo (1851), in B. Spaventa, Opere, , vol. III.
- La libertà d’insegnamento (1851), in Opere, , vol. III.
- Le utopie, in“Il Progresso”, 11 settembre 1851, rist. in Unificazione nazionale ed egemonia culturale,
- Frammenti di studii sulla filosofia italiana del secolo XVI, in“Monitore bibliografico”, Torino 1852, nn. 32-33, pp. 48-54.
- La politica dei Gesuiti nel secolo XVI e XIX. Polemica con la «Civiltà cattolica» (1854-1855), a cura di G. Gentile, Milano-Roma-Napoli 1911. Ora anche in Opere,, vol. II.
- Schelling, in“Il Cimento”, IV (1854), pp. 521-532; ora anche in D. D’Orsi (a cura di), Scritti inediti e rari, Padova 1966, pp. 47-58.
- Teoria della cognizione, in“Il Cimento”, Torino, 30 settembre 1854, rist. in Saggi di critica filosofica, politica e religiosa, I, Napoli 1867, pp. 33-101.
- La filosofia neo-cristiana e il razionalismo in Alemagna (1854), in Opere, cit, vol. II.
- Del principio della riforma politica, religiosa e civile del secolo XVI, in“Il Cimento”, Torino 1855, rist. in Saggi di critica filosofica, politica e religiosa, , pp. 269-328.
- Hegel confutato da Rosmini (1855), in Opere, , vol. II.
- La filosofia pratica di Kant e Jules Barni (1855), in Opere, , vol. II.
- Metafisica, in“Il Cimento”, Torino 15 agosto 1855, rist. in Saggi di critica filosofica, politica e religiosa, , pp. 102-135.
- Sopra alcuni giudizi di Niccolò Tommaseo (1855), in Opere, , vol. II.
- Concetto e metodo della dottrina tomistica del diritto (1856), in Opere, , vol. II.
- Il sensualismo del sec. XVIII e V. Cousin (1856), in Opere, , vol. II.
- La dottrina di Socrate (1856), in Opere, , vol. II.
- Carattere e sviluppo della filosofia italiana dal secolo XVI sino al nostro tempo(1860), in Opere, , vol. I.
- La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia italiana (stampato per la prima volta nel 1860, ma scritta nel 1856), in Opere, , vol. I.
- Lettere di Bertrando e Silvio Spaventa (1861-1862), in Opere, , vol. II.
- La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, Della nazionalità della filosofia, Prolusione, (1862), in Opere, , vol. II.
- Schizzo di una storia della logica, in Opere, , vol. I.
- La filosofia di Gioberti, Napoli 1863.
- Lezioni di antropologia (1863-1864), a cura di D. D’Orsi, Firenze 1976.
- Le prime categorie della logica di Hegel (1864), in Opere, cit, vol. I.
- Dottrina della conoscenza in Giordano Bruno (1865), in Saggi di critica filosofica, politica e religiosa, , pp. 196-255.
- Logica e metafisica (1867), in Opere, , vol. III.
- Tommaso Campanella (1867), in Rinascimento, Riforma, Controriforma e altri saggi critici, a cura di G. Gentile, Venezia 1928.
- Paolottismo, positivismo, razionalismo. Lettera al prof A. C De Meis (1868), in Opere, cit, vol. I.
- Principii di etica (1869), in Opere, , vol. I.
- Su’ limiti della cognizione (1871-1872), in Opere, , vol. I.
- Sulle psicopatie in generale (1872), in Opere, cit, vol. II. Note sulla metafisica dopo Kant (1873), in Opere, , vol. II.
- Idealismo o realismo ? (Nota sulla teoria della conoscenza. Kant, Herbart, Hegel),(1874), in Opere, , vol. I.
- La legge del più forte (1874), in Opere, cit, vol. I.
- Kant e l’empirismo (1880), in Opere, cit, vol. I.
- Lettera a Camillo De Meis (Napoli, 13 luglio 1880), in G. Gentile, Documenti inediti sull’hegelismo napoletano, in“La critica”, vol. IV, 1906, pp. 409-410.
- Frammento inedito (1881), in Opere, , vol. III.
- Psiche e metafisica (1881-1882), a cura di D. D’Orsi, Messina-Firenze 1978.
- Esame di un ‘obiezione di Teichmüller alla dialettica di Hegel (1883), in Opere, cit, vol. I.
- Esperienza e metafisica, opera postuma pubblicata da D. Jaja, Torino 1888. Edizione critica a cura di A. Savorelli, Napoli 1983.
- Tredici lettere inedite di Bertrando Spaventa al fratello Silvio, in B. Spaventa, Unificazione nazionale ed egemonia culturale,
- Epistolario, I (1847-1860), a cura di M. Rascaglia, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1995.
(Da L. Gentile Coscienza nazionale e pensiero europeo in Bertrando Spaventa, Chieti 2000).
Hegelismo
L’attività di Spaventa abbraccia un periodo lungo particolarmente fecondo da un punto di vista filosofico, che vede l’affermarsi della speculazione idealistica in Germania ed il fiorire dei sistemi rosminiano e soprattutto giobertiano in Italia, la diffusione dello spiritualismo e, per contrapposto, il consolidarsi del positivismo.
Lo Spaventa si colloca al centro di questi contrasti, e se la sua polemica con gli spiritualisti e filosofi della scienza può avere un significato per la storia della cultura, la sua considerazione dell’idealismo tedesco nella filosofia italiana costituisce veramente il fondamento teoretico del suo sistema.
Giacché, per cogliere la verità dell’idealismo, senza inaridirlo entro una formula, era innanzitutto necessario interpretarlo e coglierlo, nel processo storico. Così gli studi su Campanella e Bruno, su Rosmini e Gioberti, sulla rinascenza ed il risorgimento costituiscono lo sforzo per fare dello hegelismo lo svolgimento necessario degli ultimi risultati della speculazione nazionale.
Tali direttive del pensiero di Spaventa dovevano portarlo a quella che è stata chiamata una “riforma”, ma che più semplicemente si sarebbe potuta definire una interpretazione critica del pensiero dello Hegel. Infatti nella filosofia dello Hegel, il momento della assolutezza e della sintesi pare costituirsi, per esigenze sistematiche, al di fuori dell’esperienza, tant’è che più volte è stato osservato come all’interno del suo sistema operino due diversi concetti di dialettica: l’uno che sospinge il pensiero verso sempre ulteriori tappe fino a giungere all’assoluta consapevolezza, l’altro che chiude l’assoluto nella perfetta identità con se stesso, superiore — e perciò estraneo — alle forme concrete della storia.
Alla soluzione di questo problema, cioè all’identificazione delle due diverse dialettiche, provvide lo Spaventa, superando così quell’antinomia che portò di fatto al costituirsi della destra e della sinistra hegeliana. Ciò fu possibile, non tanto riducendo tutto il sistema hegeliano entro lo schema della prima triade — essere, non essere, divenire —, quanto piuttosto vincendo la distinzione tra la scienza e la coscienza e mostrando anzi l’intrinsecarsi dei due momenti. È la scoperta della realtà come Mente.
Per essa la sintesi non è più un posterius, a cui si giunga attraverso l’astrattezza dei momenti precedenti, ma è bensì l’originario, dal quale traggono significato i termini che la costituiscono. Alla filosofia è perciò tolto il compito impossibile di giungere all’universale movendo dai dati inferiori ad esso; essa è piuttosto l’evidenziazione dialettica di quell’orizzonte trascendentale, che costituisce l’intellegibilità dell’essere e la realtà del pensiero.
Da questo punto di vista si può veramente dire che lo Spaventa ha riscoperto la filosofia come metafisica, e non già una metafisica che si struttura intellettualisticamente al di sopra dell’esperienza, bensì che ne rende ragione, in quanto totalmente la fonda.
Sotto questo riguardo lo Spaventa ha portato un contributo significativo ai fini dell’eliminazione dell’empirismo filosofico e quindi alla fondazione della metafisica, considerata anteriormente alle sue qualificazioni — di fatto — possibili in senso monistico o pluralistico, tant’è che proprio intorno a questo tema, tutt’altro che secondario, è possibile al critico scoprire una netta convergenza dell’idealismo spaventiano con l’istanza più genuina della metafisica classica, la quale riconosce appunto come l’esperienza sia intrinsecamente domanda e perciò costitutivamente intrisa di razionalità. Il pensiero cioè non è cosa che si aggiunge, o si confonde, o si giustappone alla realtà, ma è invece ciò per cui il reale è sottratto costitutivamente al limite della irrazionalità, che ne sanzionerebbe la completa dissoluzione, e diventa intrinsecamente intellegibile, evidenziando in sé la struttura della mediazione, la quale lo fonda ontologicamente e quindi intrascendibilmente, ai fini dell’autentica posizione del problema metafisico.
Questo pare il momento più prezioso della speculazione spaventiana, giustificabile teoricamente mediante l’unità del vero e del certo, o, come diceva Spaventa, nella identità della logica con la fenomelogia, anche se è necessario riconoscere come lo Spaventa non abbia sempre tenuto fede a questa identità, tant’è che, mentre da un lato veniva rigorosamente qualificando la propria filosofia come teologismo, d’altra parte la determinava in maniera formale, tentando di scoprire nell’essere logico la presenza della negatività, onde far scaturire il divenire.
Scoprire che l’inseparabilità di essere e pensiero, sulla quale si fermava lo Hegel, doveva essere integrata nella stessa dinamica del pensare, è stato il grande compito di Spaventa; ma perché quella scoperta non si vanificasse, era necessario evidenziare come nella dialettica del pensiero si venisse costituendo la realtà, la quale non più immobilizzata e presupposta, è e si giustifica solo nell’atto del pensiero. E l’atto del pensiero è eterno. Qui veramente l’ontologia si fonde con la teologia, in una considerazione univoca del reale.
«Questa è la via — scriverà Giovanni Gentile ne La riforma della dialettica hegeliana — che rimane a percorrere dopo lo Spaventa, al quale spetta il merito di averci condotto fino al suo inizio».
(Da R. Bortot, L’Hegelismo di Bertrando Spaventa, Firenze 1968).